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AYRTON SENNA, L’ULTIMO IMMORTALE

30 anni fa, il primo maggio del 1994, mi trovavo alla periferia di Firenze e stavo festeggiando il primo maggio con alcuni amici. Eravamo spensierati e allegri, tra un bicchiere di vino, il barbecue e la bella compagnia, la giornata stava passando piacevolmente. Ricordo che avevo lasciato il telefono, uno dei primi cellulari all’epoca, nella giacca appesa a un chiodo poco lontano da me. Erano circa le due del pomeriggio quando decisi di controllare il telefono per vedere se qualcuno mi aveva cercato. Mentre mi avvicinavo alla giacca, il cellulare squillò, e vidi sul display il numero della mia agenzia.

All’epoca lavoravo come fotografo presso l’Agenzia Fotogiornalistica Sestini, di Massimo Sestini, sì, proprio quello della copertina di Sofia Goggia di qualche settimana fa. Ero arrivato nel settembre del 1993, alcuni mesi dopo la Strage di via dei Georgofili a Firenze. Ero stato scelto da Massimo in persona, ci eravamo conosciuti a Porto Ercole, dove abitavo, e lui rimase positivamente colpito dalla mia voglia di diventare fotografo, tanto che mi propose di seguirlo a Firenze e di lavorare per lui.

L’agenzia Sestini, all’epoca, era al suo massimo splendore, con uno staff eccezionale che le permetteva di coprire tutti i più importanti avvenimenti sul territorio nazionale. Molti furono gli scoop effettuati in quel periodo, dalle prime foto di Di Pietro dopo l’annuncio dell’entrata in politica, realizzate dopo una ricerca durata più di un mese, alle prime foto della presidente della Camera Irene Pivetti mentre faceva jogging a Roma, scattate grazie a un piano d’azione formidabile che coinvolse sei fotografi, nonostante un notevole spiegamento di forze di Polizia intorno a Villa Doria Pamphilj. Ma queste sono altre storie.

Torniamo al primo maggio del 1994: il cellulare squillò, risposi alla chiamata ed era Massimo, che con una frase lapidaria mi disse di tornare in agenzia perché Ayrton Senna era morto. Ricordo che il gelo mi attraversò il corpo e rimasi bloccato e incredulo di fronte a quella notizia. Credo che lo stesso sentimento fu provato da molte persone appassionate di Formula 1, perché Ayrton era davvero considerato un pilota immortale: Ayrton non poteva morire.

Parlai con i miei amici di quanto era accaduto, e la festa chiaramente si fermò, nessuno poteva credere a questa notizia. Fatto sta che tornai in agenzia. Ricordo che quando entrai c’era un clima surreale: le luci erano spente, non c’era nessuno, poi vidi una flebile luce nella stanza di Massimo. Mi avvicinai e vidi un cavalletto con una fotocamera di fronte alla TV. Massimo stava rifotografando le immagini dell’incidente dalla TV, con l’intenzione di produrre una serie di immagini da inviare alle agenzie di vendita il più velocemente possibile. Le uniche immagini dell’incidente erano infatti quelle riprese dalla TV, poiché nessun fotografo era presente alla curva del Tamburello di Imola al momento dell’incidente.

Passai tutto il pomeriggio in agenzia con Massimo e la sera ero esausto. Massimo se ne andò verso le 20, e io poco dopo, lasciando il posto a Gerardo, un mio collega che rimase a lavorare quella notte. Tornai a casa esausto. Sdraiato sul letto, rivissi tutta la giornata passata, ancora frastornato dagli eventi. Al mattino tornai in agenzia, dove c’era solo la segretaria, che sorridente e probabilmente ignara di quanto era accaduto, mi disse che c’era un lavoro per me lasciato da Gerardo. In una busta c’era un negativo da convertire in diapositiva, una pratica usuale per l’epoca: si prendeva il negativo e si rifotografava con una macchina caricata con diapositiva, utilizzando uno stativo e un visore con un mixer di colori. All’epoca, il mercato del fotogiornalismo si basava in gran parte sulla vendita di diapositive perché i colori erano notevolmente più contrastati e saturi rispetto alla stampa chimica.

Comunque, sulla busta c’era una parola scritta: “macabre”. Lì per lì non capii bene il senso di quella parola, ma appena vidi il negativo e lo passai sopra il visore, rimasi senza parole. Nella busta c’erano le foto di Ayrton Senna morto, scattate dall’interno dell’ospedale di Imola. Era sdraiato su una barella, coperto da un lenzuolo, ma il viso era scoperto ed era irriconoscibile: l’impatto era stato devastante. Una lacrima mi scese sul viso, e in quel momento capii che il mito se n’era davvero andato.

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